DIO E' MORTO

Ronnie James Dio [il cui vero nome era Ronald James Padavona], nato a Portsmouth il 10 luglio 1942, è morto oggi, 16 maggio 2010, a Houston. Quelle che seguono sono le parole che la moglie Wendy Dio ha usato per esprimere il proprio dolore, sulle pagine del sito ufficiale dell'artista: 'Il mio cuore, oggi, è spezzato; Ronnie se n'è andato alle 7.45 del 16 maggio. Tanti, tanti amici e familiari hanno potuto fare i propri saluti, in forma privata, prima che lui se ne andasse in pace. Ronnie sapeva quanto fosse amato. Noi apprezziamo moltissimo l'affetto ed il supporto che voi tutti ci avete dato. Vi preghiamo di concederci qualche giorno di riservatezza per affrontare questa terribile perdita. Sappiate che lui vi ha amato tutti, e che la sua musica vivrà per sempre'. Il batterista dei Metallica, Lars Ulrich, ha scritto sul sito della sua band una lettera in memoria del grande vocalist: 'Caro Ronnie, ero appena uscito dal palco a Zagabria. Sono stato raggiunto dalla notizia della tua morte. Sono un po' sotto shock, ma volevo che tu sapessi che sei stato uno dei principali motivi che mi ha fatto iniziare sul palco. Quando ti ho visto la prima volta con gli Elf, nel 1975 in apertura per i Deep Purple, sono stato completamente travolto dalla forza della tua voce, dalla tua presenza sul palco, dalla tua sicurezza e la facilità con cui sembravi comunicare con 6.000 danesi e sognanti undicenni, la maggior parte dei quali non avevano familiarità con la musica degli ELF. L'anno dopo, ero molto esaltato quando ho sentito i risultati dell'aver unito le forze con il mio chitarrista preferito. Voi ragazzi suonavate in perfetta sintonia ed io sono subito diventato il più grande fan dei Rainbow in Danimarca. Nell'autunno del 1976, quando suonavi al tuo primo show a Copenaghen, ero in prima fila e quel paio di volte in cui i nostri sguardi si sono incrociati, mi hai fatto sentire come la persona più importante del mondo. (metallica, hard rock, rock) La notizia che voi ragazzi alloggiavate in città per la giornata mi si è fissata in mente e ho fatto un pellegrinaggio al Plaza Hotel, per vedere se potevo in qualche modo avere una foto, un autografo, un momento, una qualsiasi cosa. Poche ore dopo sei uscito e sei stato così gentile e premuroso: foto, autografi e un paio di minuti di battute informali. Mi sentivo in cima al mondo, ispirato e pronto a tutto. Nel corso degli anni ho avuto la fortuna di incontrarti una mezza dozzina di volte o giù di lì e ogni volta sei stato gentile, premuroso e cortese come lo eri stato nel 1976 di fronte all'hotel. Quando abbiamo finalmente avuto la possibilità di suonare insieme in Austria nel 2007, anche se se non potevo darlo a vedere, sono stato letteralmente riportato indietro nel tempo, a quel ragazzino con il moccio al naso che avevi incontrato e ispirato 31 anni prima e il condividere il palco con te e i leggendari Heaven & Hell era un fottuto onore e un sogno che si avveravano. Un paio di settimane fa, quando ho sentito che non saresti stato in grado di partecipare allo show Sonisphere faceva pensare che avremmo potuto condividere il palco il prossimo mese di giugno, avrei voluto chiamarti e farti sapere che ti stavo pensando e farti i migliori auguri, ma ho cacciato il pensiero pensando che l'ultima cosa di cui avevi bisogno per guarire era il sentirti obbligato a ricevete una telefonata di un batterista danese-fan. Vorrei aver fatto quella chiamata. Ci mancherai immensamente per quegli appuntamenti, e noi penseremo a te con grande ammirazione e affetto durante l'esibizione. Sembrava così normale averti in tour con i cosiddetti 'Big Four' dal momento che ovviamente eri uno dei motivi principali per l'esistenza stessa delle quattro Band. Ti bruceranno sicuramente le orecchie durante quelle due settimane perché tutti noi parleremo, ricordando e condividendo racconti riguardo a come l'averti conosciuto ha reso migliore la nostra vita. Ronnie, la tua voce mi ha colpito e rafforzato, la tua musica mi ha ispirato e influenzato, e la tua gentilezza mi ha colpito e commosso. Grazie. Con tanto affetto, Lars'.
LA SCHEDA: RONNIE JAMES DIO
Ronnie James Dio era nato a Portsmouth il 10 luglio 1942, ed è stato uno dei più grandi cantanti heavy metal di sempre, oltre ad essere l'inventore del celebre gesto delle corna. Dal 1972 al 1975 ha pubblicato tre album con gli Elf, quindi tre con i Rainbow (1975-1878) prima del grande salto nei Black Sabbath, dove resta per due album (con la gemma di 'Heaven And Hell') e torna nel 1992 (con 'Dehumanizer'). Nel 1984 fonda una sua band, i Dio, con cui pubblica 10 album; nel 2006 si riunisce agli ex Black Sabbath colmoniker Heaven And Hell.

BLACK METAL
VENOM [1982], BLACK METAL
Venom, un nome che bastava da solo a terrorizzare. Black Metal, un titolo eloquente ed una copertina bellissima, blasfema e ormai leggendaria che ancor oggi incute timore e rispetto. Nel 1982 Conrad 'Cronos' Lant, Jeff 'Mantas' Dunn e Tony 'Abaddon' Bray registrano il seguito del debutto 'Welcome To Hell' che appena l'anno precedente aveva stravolto e scioccato il panorama Heavy del periodo; pur collocandosi in coordinate temporali e spaziali riconducibili alla NWOBHM, i Venom esordirono con una miscela esplosiva di speed heavy di grande impatto, associata a tematiche occulte e sataniche tanto forti quanto innocue che al tempo era quanto di più pesante potesse essere proposto sul mercato musicale. Brani come 'In League With Satan', 'Welcome To Hell', '1000 Days in Sodom', 'Poison' e 'Schizo, si riveleranno immediatamente dei veri e propri classici di un modo nuovo di intendere l'Heavy Metal. Un approcio attitudinale di stampo 'punk' con un occhio di particolare riguardo ai contemporanei Motörhead. In questa formula, semplice ed innovativa, l'inizio della leggenda. Il disco della riconferma 'Black Metal', registrato in appena sei giorni presso gli Impulse Studios di Newcastle, procede nelle medesime coordinate stilistico-tematiche del predecessore, rafforzando ed appesantendo però ancora di più il suono. Le parti di chitarra, basso e batteria svolgono in questa direzione appieno il loro compito, tanto che non è azzardato parlare in questo album di una particolare alchimia di speed metal proto thrash [certi riffs sono inequivocabili in questo senso]. Sin dalle note di apertura della title track, la voce sulfurea e sgraziata di Cronos ci accompagna nella blasfema traversata metallica che passa attraverso episodi come 'To Hell And Back', la grezza 'Buried Alive' oppure 'Raise The Dead', titoli e testi dal sapore macabro e marcio come la sguaiata ed oltraggiosa 'Teacher's Pet', le bellissime 'Leave Me In Hell', 'Sacrifice' e' Heaven's On Fire' sino all'apoteosi nella cavalcata nera di 'Countess Bathory', mid-tempo tra le perle dell'album. 'Don't Burn The Witch' e 'At War With Satan [Introduction]' [breve assaggio del successivo 'At War With Satan'] chiudono un disco epocale nei cui solchi è possibile rintracciare la matrice di tutto il metal estremo successivo, soprattutto dal punto di vista attitudinale, formale e lirico ma anche da quello stilistico, e consegnando i Venom alla storia dell'heavy metal. E' inoltre con questo lavoro che viene coniato per la prima volta il termine 'black metal' in modo così esplicito, termine che andrà in seguito ad identificare un intero sottogenere metal: questo ad ulteriore conferma e dimostrazione del peso storico indiscutibile e rilevante dell'opera. L'influenza dei Venom si è infatti rivelata nel tempo enorme e spropositata e un pò tutti: dai Metallica agli Slayer, dai Possessed ai Death, il movimento thrash tedesco, dai Bathory alle bands della scena Black scandinava, per citare solo i più importanti, sono diversi i gruppi che hanno tributato il dovuto riconoscimento a Cronos e compagni, considerati a buon diritto ed a ragion veduta i padrini dell' extreme metal intero. I loro brani minimali, privi di particolari tecnicismi ma allo stesso tempo diretti e coinvolgenti, sono ormai entrati nel patrimonio metallico comune e hanno tracciato il solco nel quale molti altri gruppi si sono poi rifatti per creare evoluzioni sonore dell' hard'n'heavy, esasperando ancora di più il concetto musicale dei Maestri. Il tutto a conferma di una band importantissima e seminale che tanto ha dato alla causa della musica dura.
SHOUT AT THE DEVIL

MOTLEY CRUE [1983], GLAM METAL
In piena rinascita hard rock, il gruppo di ragazzacci di Los Angeles sforna un vero capolavoro di metal d'oltreoceano, anni luce distante dal precedente Too Fast For Love, leggermente carente di qualità audio e compositiva. In Shout At The Devil invece il gruppo si esprime al massimo, sopratutto il batterista Tommy Lee, forse la vera anima sonora della band, riuscendo come pochi ad equilibrare sonorità heavy a ritornelli orecchiabili e accattivanti. Ineguagliabile è il groove di un brano come la titletrack, perfetto per dare inizio a quella che si rivela una vera apoteosi di watt e rock'n'roll. Segue 'Looks That Kill', autentica potenza in musica, che gira intorno ad una sezione ritmica ossessiva e irresistibile, di cui Tommy Lee è l'indiscusso padrone. Trova posto anche la cover 'Helter Skelter' [Beatles, The White Album, 1969], nota per aver ispirato le gesta folle di Charles Manson, preceduta dalla strumentale 'God Bless The Children The Beast' scritta da Mick Mars. Ma il centro dell'intero lotto è dato dal trittico fenomenale composto dall'anthemica 'Too Young To Fall In Love', da 'Knock 'Em Dead Kid' e 'Ten Seconds To Love', volgare e oscena con i suoi doppi sensi a sfondo erotico ['pull my trigger, my gun is loaded with your love']. Offuscate da tanto ben di dio rimangono invece 'Bastard' e 'Red Hot', dimostrazione che il gruppo non ha perso le origini stradaiole. Chiude il tutto la melodica 'Danger', che esibisce chiaramente che i Motley sono dei cattivacci intenzionati a conquistare il mondo ma soprattutto la vetta delle charts. Uno dei dischi più osceni e causa di diatribe future: il PMRC statunitense accuserà i Motley Crue, insieme agli WASP, di essere tra i maggiori responsabili della degenerazione della gioventù americana, accuse a cui il gruppo risponderà con ulteriori oscenità e provocazioni: Girls Girls Girls dice niente? Scandali a parte, Shout At The Devil a decenni di distanza suona ancora potente come nel 1983 e rimane l'episodio migliore di una delle band più frastornanti della storia dell'hard rock.

WELCOME TO HELL
VENOM [1981], BLACK METAL
I Venom sono una di quelle band che si amano o si odiano, senza compromessi. Criticati, denigrati, insultati dalla critica e da una buona parte di quel mondo, quello dell’heavy metal per intenderci, di cui sono ormai una leggenda. Hanno sicuramente dallo loro il merito di essere stati i pionieri che hanno esplorato per primi le piste del metallo estremo, assurgendo a vere e proprie icone per gran parte dei fautori di tutti quegli stili musicali che vanno dal thrash al black metal, passando per il death. Welcome to Hell è stato il primo album dei tre satanassi di Newcastle e questa, oltre che la sua recensione, vuole essere anche la storia degli inizi di questa band leggendaria. Tutto ha inizio nel 1979 e lo sfondo è quello rappresentato dalla brumosa e grigia città di Newcastle Upon Tyne, nell’Inghilterra nord orientale. Il giovane chitarrista Jeff Dunn, appassionato di arti marziali e motociclette, decide insieme al bassista Dean Hewitt e al chitarrista Dave Rutherford di rimettere in sesto la sua vecchia band dei Guillottine. Rimasto senza un cantante e un batterista, Dunn ha la fortuna di conoscere il cantante Clive Archer e il batterista Anthony Bray, durante un concerto dei Judas Priest tenuto nella città alla foce del Tyne l’agosto di quell’anno. I due provengono dagli Oberon, altra band della scena heavy metal cittadina, e dopo poco tempo entrano in pianta stabile nel gruppo inglese completandone la line-up. Precedentemente Dunn decide di cambiare monicker alla band, scegliendo per la stessa il nome di battaglia da lui utilizzato per le sue scorribande in compagnia dei soci del suo motorcycle club: Venom. Dopo qualche mese Rutherford lascia la band e al suo posto arriva un ragazzone di nome Conrad Lant, già cantante e chitarrista in un altro act locale, i Dwarfstar. Giusto una settimana in anticipo su quella che deve essere la prima esibizione live della band, siamo nel febbraio del 1980, i Venom perdono il bassista, ma la soluzione è presto trovata e Lant passa dalla seconda chitarra al basso. Con l’inizio del 1980, i Venom decidono di assumere degli pseudonimi che rispettino maggiormente le loro intenzioni estreme in campo musicale: Archer diventa Jesus Christ, mentre Dunn, Lant e Bray diventano rispettivamente Mantas, Cronos e Abaddon. Alla fine di aprile riescono a registrare il loro primo demo in un solo pomeriggio, convincendo i gestori degli Impulse Studios di Newcastle a concedere gratuitamente l’utilizzo dello studio stesso con tutte le attrezzature. Il demo riceve le attenzioni della rivista specializzata Sounds Magazine, ma soprattutto attira l’interesse della Neat Records, una piccola etichetta indipendente di Newcastle che muove i suoi primi passi in quel periodo mettendo sotto contratto i concittadini Raven. Qualche tempo dopo i Venom riescono a registrare, per la somma di cinquanta sterline, un secondo demo che include altre sei canzoni, tra le quali Live Like an Angel (Die Like a Devil) cantata da Cronos. Nel giugno del 1981 Archer fa le valigie, la leggenda narra a causa dei danni provocati al giardino della sua casa durante la prova degli effetti pirotecnici da utilizzare durante i concerti, Cronos diventa quindi anche la voce dei Venom oltre che a suonarne il basso. Il leggendario triumvirato dei Venom è finalmente nato: Cronos bulldozer bass and vocals, Mantas chainsaw guitar dives e Abaddon drums and nuclear warheads. Nel giugno del 1981 la band, che nel frattempo è messa sotto contratto dalla Neat Records, pubblica un primo sette pollici In League with Satan/Live Like an Angel (Die Like a Devil). Qualche mese dopo, i Venom sono in studio per registrare alcuni demo: il risultato è così impressionante che, d’accordo con il boss della Neat, David Wood, decidono di darlo alle stampe con il titolo di Welcome to Hell. Il disco è un terremoto per i canoni musicali del tempo, l’album possiede una carica esplosiva, energica, primordiale, il tutto affiancato da un’iconografia basata su pentacoli e caproni satanici. Ma sono soprattutto l’attitudine selvaggia e picaresca con la quale i nostri suonano, oltre che il modo esplicito ed evidente con cui lanciano i loro messaggi a sfondo satanico, che colpiscono gli ascoltatori del tempo. Fino ad allora solo i Black Sabbath, i Black Widow e i Kiss hanno osato, seppur timidamente, toccare tematiche sataniche nelle loro liriche, insieme ad altri act della scena New Wave of British Heavy Metal, quali Pagan Altar, Witchfinder General, Demon e Angel Witch. I Venom vanno ben oltre, avendo ben chiaro quale sia il loro obiettivo primario, ovvero quello di catturare l’attenzione dell’establishment musicale attraverso la cieca violenza marcia della musica e scandalizzarlo, prendendosene gioco, tramite un'immagine sulfurea e satanica. Per i critici musicali dell’epoca Welcome To Hell è il disco piu’ pesante e duro di cui si sia permesso il pubblico ascolto. L’album è una miscela fulminante tra le sonorità più pesanti e veloci dei primi Motörhead, il vecchio zio Lemmy li accusa infatti di essere dei copioni, e la furia tipica del punk britannico di fine anni settanta, vedi Discharge. Sons of Satan è l’inizio di questo sabba goliardico e teatrale con Cronos che canta con una voce sgraziata e cavernosa, praticamente seviziandosi l’ugola, mentre massacra il suo strumento accompagnato dal riffing acido, distorto all’inverosimile di Mantas. Seguono la memorabile title-track Welcome to Hell e la successiva Schizo: le strutture musicali sono dirette, scarne, ma accattivanti, i giri e gli assoli di chitarra sono semplici ma si imprimono subito nella mente di chi ascolta. Sfrontatezza, strafottenza, attitudine e carisma, sono queste le armi con cui questi tre diavolacci, che senza requie devastano gli strumenti e urlano le loro irriverenti blasfemie, fanno accorrere legioni di fan al loro diabolico capezzale. La breve e strumentale Mayhem with Mercy viene spazzata via dalla trascinante Poison, munita di un riffing isterico e sporchissimo, e dalla sostenuta Live Like an Angel (Die Like a Devil). Rumori cacofonici, urla in lontananza, l’accenno profondo di un basso, il riff della chitarra affilato come una lama, è l’inizio di Witching Hour, canzone veloce, dotata di un buon tiro, da subito e da sempre uno dei cavalli di battaglia dei Venom. Insieme a Witching Hour, l’altra gemma nera dell’album è rappresentata da In League With Satan: il ritmo tribale di Abaddon, preceduto dalle parole pronunciate al contrario da Cronos, introducono la canzone, una trionfale marcia demoniaca sottolineata dalla cadenza della batteria e da un ritmo più lento rispetto alle altre composizioni di Welcome to Hell. Gli altri capitoli dell’album sono One Thousand Days in Sodom, Angel Dust e la delirante Red Light Fever. L’impatto di Welcome to Hell e del successivo secondo album, dal profetico titolo di Black Metal, è stato enorme su quella folta schiera di musicisti, che qualche anno dopo l’uscita dei primi due album dei Venom, hanno ripresentato la lezione del trio di Newcastle in modo più tecnico, più complesso, più veloce e più violento, il tutto sotto le insegne di monicker, oggi più o meno blasonati. Del resto sono innumerevoli quelle band, thrash, death e black metal convinte nel citare come fondamentale l’influenza dei Venom per la loro formazione musicale e pronte a omaggiarli, riproponendo un numero sterminato di versioni cover dei loro pezzi forti. Welcome to Hell è un disco imprescindibile per chi voglia addentrarsi nell’esplorare l’origini del metallo estremo, è un album storico, dall’importanza più che seminale. Ma soprattutto Welcome to Hell rimane un disco di heavy metal grezzo, energico, primitivo, allo stato selvaggio, da ascoltare con lo stereo a palla e urlando a squarciagola: Hell's breaking loose!
TOO FAST FOR LOVE
MOTLEY CRUE [1981], GLAM METAL
Agli inizi dei gloriosi anni 80', quando ancora il metal non era diviso in tanti sottogeneri ed i pochi gruppi votati alla musica più violenta in circolazione gettavano le fondamenta per lo sviluppo dei vari filoni, dall'assolata California spuntò un quartetto che in pochi anni s'impose all'attenzione mondiale e per la qualità della proposta musicale e per lo stile di vita vizioso e pericoloso: 'più sesso, droga e rock n' roll che ogni altra band sulla faccia del pianeta' recitava il giornale Rolling Stones per descrivere la loro carriera. All'epoca non si sapeva bene dove sarebbero arrivati i quattro rockers che, sbancato l'Auditorium di Santa Monica con un'esibizone memorabile, furono messi sotto contratto da una piccola etichetta per la quale partorirono questa piccola gemma intitolata 'Too Fast For Love'. La storia ci racconterà poi di presunte morti per overdose e repentine resurrezioni, folle oceaniche di fans adoranti, milioni di dischi venduti, belle donne, motociclette e una manciata di capolavori; ma tra i solchi di questa opera prima si poteva già intravedere la forza devastante ed autodistruttiva di una band che riscrisse la storia dell'hard rock, indossò e dismise per prima gli stretti panni glam, inventò lo street metal e diede una reale idea di cosa fosse la trasgressione. Non molto lontani da quello che sarà il loro indiscusso capolavoro 'Shout at the devil', Vince, Nikki, Tommy e Mick abbattono le barriere tra generi estremi e fondono la pesantezza del metal, certa rabbia punk e reminiscenze hard rock per creare un sound ruvido ed ostico, condito da testi politicamente scorrettissimi [furono tra i primi grandi nemici dell'inesorabile macchina di censura americana] ed oltraggiosi. Si parte con 'Live Wire', un vero e proprio manifesto programmatico, in cui il riff tagliente ed acido di Mars dà il via ad una veloce killer song sorretta dal drumming fantasioso e impazzito di Lee e dal potente basso di Sixx, su cui si staglia la voce stridula di Neil. Un vero cavallo di battaglia. Ma é nella seguente 'Come On And Dance' che l'interpretazione vocale diventa veramente aspra ed ipnotica rasentando la follia isterica nella parte finale su un giro di chitarra pesante come un macigno. Con 'Public Enemy n°1' si intravedono sprazzi melodici nel leit motiv del pezzo, ma la forte distorsione di chitarra e la batteria non lasciano scampo a concessioni di mercato: siamo sempre in bilico tra hard ed heavy. 'Merry-Go-Round' dovrebbe essere la ballata che spezza un pò il ritmo forsennato del disco, ma é talmente sinistra e strana la melodia ed ossessivo il suo ritornello che lascia una reale sensazione d'angoscia e si prega di ritornare nelle roventi atmosfere precedenti; ed infatti 'Take Me To The Top' parte sparata per poi alternare rallentamenti e velocizzazioni in un'entusiasmante cavalcata che sfocia nella strana miscela di punk e metal della dissonante 'Piece Of Your Action'. Nella parte finale si raggiunge veramente l'apice: prima la cadenzata 'Starry Eyes' smorza un pò i toni incandescenti del lavoro risultando un pezzo più meditato, poi la title track fulmina i timpani con un azzeccato rifferama martellante che gioca con i funambolici passaggi di batteria dell'ottimo Tommy Lee; alla fine arriva 'On With The Show' dove un delicato e bellissimo arpeggio di chitarra elettrica dà vita ad una potente ed ispirata semi-ballad in cui si narrano le gesta di un certo Frankie, ragazzo di strada, che negli ultimi istanti della sua vita sregolata trova la forza di spronare la sua ragazza ad andare avanti con lo show. In seguito la visione de 'L'attimo fuggente' e i versi di un Mercury morente resero limpido il concetto, era chiaro quale fosse lo show. Ma la ruvida poesia di questi quattro ragazzacci californiani aprì le porte: Signori, lo spettacolo continua. Da Truemetal.it

SEVENTH STAR

BLACK SABBATH [1986], HARDROCK
La fine del tour di 'Born Again' sancisce l'inizio del periodo più buio della storia dei Black Sabbath. I contrasti creatisi tra Ian Gillan e il resto della band durante le registrazioni di 'Born Again' aumentano durante il tour, concluso solamente per gli impegni contrattuali. Ian Gillan lasciò immediatamente i Sabbath dopo l'ultima data mentre le condizioni di salute del batterista Bill Ward costringono nuovamente la band ad estrometterlo dal gruppo. Il colpo di grazia avviene quando anche Geezer Butler decide di abbandonare il progetto decretandone lo sgretolamento completo. Difatti della formazione originale rimane ormai solo Tony Iommi, che oltre al problema della line-up si vede anche chiudere la porta dalla Vertigo, che non vede più nei Sabbath una fonte di guadagno. Sembra ormai che la storia sia arrivata al capolinea quando inaspettatamente i Black Sabbath in formazione originale [Iommi, Butler, Ward, Ozzy] vengono invitati nel 1985 a partecipare al Live Aid, colossale concerto organizzato da Bob Geldof, i cui introiti vennero devoluti per l'organizzare aiuti in favore dei paesi africani. L'accoglienza riservata ai Sabbath fu letteralmente esplosiva facendo repentinamente cambiare idea a dirigenti della Vertigo. Da questo momento in poi entrano ed escono dal sabba nero un'infinità di strumentisti. Per un breve periodo rientra anche Butler ma ben presto torna sui suoi passi e viene sostituito da Dave Spitz, fratello del più celebre Dan Spitz degli Anthrax. La batteria viene affidata ad Eric Singer, mentre per la voce dopo vari tentativi viene reclutato l'ex bassista dei Deep Purple Glenn Hughes, dotato di una voce fantastica, molto calda e duttile, riconoscibile al primo ascolto e in grado di passare con disinvoltura dall'hard rock al metal senza snaturare il suo personalissimo modo di interpretare la musica. 'Seventh Star' esce nel 1986 sotto l'insolito monicker 'Black Sabbath featuring Tony Iommi', monicker che lo stesso Iommi definirà come un errore in quanto il disco è da considerarsi Black Sabbath al 100%. Certo che i punti di contatto con i periodi Ozzy/Dio sono quasi del tutto assenti. Chi si aspettava un'evoluzione del catacombale 'Born Again' si è trovato di fronte invece un classico disco di Heavy Metal con diverse sfumature, avente più punti di contatto con la scena americana che con quella inglese. Gli esempi più forti sono 'In For The Kill' e 'Turn To Stone', due power song di stampo americano rese dinamiche da un grande lavoro di Eric Singer e dalla bellissima voce di Hughes, sicuramente l'arma vincente di questo vinile. La title-track ha invece un andamento monolitico caratterizzato da un bellissimo riff costantemente in primo piano per l'intera durata della canzone. Un riff molto particolare ed ossessivo su cui Hughes, nell'inedita vesta di narratore, contribuisce a creare un'atmosfera crepuscolare veramente surreale ed epica. Il disco, pur essendo amalgamato in maniera perfetta, contiene diversi stili, arrivando addirittura a toccare il blues nella splendida 'Heart Like A Wheel'. Troviamo anche 'No Stranger To Love', la prima ballad della storia dei Sabbath, da cui venne estrapolato anche un video a dir poco orrendo. Bellissimo il riff heavy/rock di 'Danger Zone', il brano più dinamico del lotto, mentre si torna su territori cadenzati con l'anthemica 'Angry Heart', che sfuma nel finale in 'In Memory' una song pacata arricchita da brevi riff che creano una perfetta amalgama tra voce e stacchi strumentali. Peccato che non sia stata sviluppata ulteriormente, perché i soli 2:30 minuti sembrano troncare una canzone che con un po' di impegno sarebbe stata l'hit del disco. Lo stesso discorso si potrebbe fare anche per la già citata 'Angry Heart', troppo breve per essere presa seriamente. In definitiva 'Seventh Star' è un buon disco che merita l'attenzione che al tempo non gli fu concessa. Se il tour di 'Born Again' non fu un grandissimo successo, quello di supporto a 'Seventh Star' fu letteralmente disastroso. Glenn Hughes, già non molto convinto di continuare la sua carriera con i Black Sabbath, venne colpito da una grave infezione alla gola che gli permise di esibirsi solo in sei date, caratterizzate dall'assoluta incapacità di cantare in maniera sufficiente. Hughes abbandonò i Sabbath i pieno tour, rimpiazzato per le date rimanenti da Ray Gillen. P.S. Iommi e Hughes tornarono a lavorare insieme nel 1996 creando il leggendario '8th Star', un disco che non vide mai la luce a causa della qualità del prodotto che non soddisfaceva le loro aspettative. shapelesszine.com